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La neve, oltre i fiocchi c'è di più – Parte 3

MeteoSvizzera-Blog | 29 gennaio 2023
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Terza e ultima puntata della serie #lameteospiegata sul tema della neve. In questa puntata diamo un’occhiata a qualche record, vedremo dove sono le regioni più nevose del pianeta e cercheremo di capire il rapporto e l’importanza che la neve ha con la natura e con l’uomo. Infine cercheremo di rispondere alla domanda: a causa del riscaldamento globale, nevicherà sempre meno?

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La neve e la natura, un binomio vincente (con qualche danno collaterale)

Pensando alla natura e alla neve, soprattutto quella che cade alle nostre latitudini, il punto di partenza non può essere che uno: rappresenta una riserva d’acqua che cade in forma solida durante la stagione fredda e che viene poi restituita alla natura, in forma liquida, durante il processo di fusione nella stagione calda. Luca Nisi di MeteoSvizzera: “È fondamentale, perché la stagione estiva - al di là della temporanea e spesso locale umidificazione causata dai temporali– è piuttosto secca. D’altro canto come già detto la neve funge anche da isolante per il terreno: dobbiamo pensare che quando ne abbiamo al suolo questo resta quasi completamente separato dall'atmosfera. Spesso in montagna nei bassi strati abbiamo delle temperature intorno ai -15/-20 gradi: anche in questo caso sotto la neve le temperature si conservano attorno allo zero o giusto pochi gradi sotto. Per la vegetazione, che è nella fase ‘dormiente’ ma che potrebbe comunque essere sensibile a delle temperature molto basse, è una vera e propria protezione, come una coperta che adagiamo su flora e terreno”. Anche la natura può però subire le conseguenze del peso e della dinamica del manto nevoso: “Proprio gli alberi, soprattutto in presenza di neve pesante abbondante – e negli ultimi anni lo abbiamo visto diverse volte a sud delle Alpi – possono subire rotture di rami o addirittura la caduta dell’intero fusto”. E anche le valanghe, con la loro forza, possono eradicare la vegetazione e modificare gli habitat.

La neve e gli esseri umani, un rapporto pure vincente (con altri possibili danni)

Si sa, una delle prime implicazioni che vengono in mente quando si parla di neve ed esseri umani a che fare con la forza delle braccia e un semplice attrezzo: l’atto di spalare. Ma al di là della forza fisica per aprirci i necessari varchi, qual è il bilancio del rapporto uomo-neve? “Di per sé, anche la relazione dell’uomo con la neve è quasi sempre positiva, eccezion fatta quando le nevicate, soprattutto a basse quote, risultano un impedimento, possono dar luogo a difficoltà nel portare avanti la propria attività lavorativa o provocare importanti danni economici. Detto questo, la maggioranza delle persone vede comunque la neve di buon occhio, anche al di là dell’aspetto decorativo sempre suggestivo. Ha infatti un effetto positivo ovviamente per quanto riguarda le stazioni invernali, un tema tornato decisamente alla ribalta con il riscaldamento climatico, anche a sud delle Alpi. Allargando la visione a tutta la Svizzera, la neve rappresenta ancora un fattore economico molto importante e per questo il suo arrivo è tendenzialmente gradito”. Come per la natura, la relazione con i bianchi fiocchi può però provocare conseguenze negative: “Sicuramente il primo pensiero corre alle valanghe: ogni anno in Svizzera abbiamo purtroppo diverse vittime delle slavine che, in certi rari casi, possono pure minacciare e danneggiare infrastrutture costruite dall'uomo. Non dà ultimo, spesso la maggior parte dei disagi che causa la neve sono legati alla scarsa visibilità durante le precipitazioni e al manto stradale che diventa più scivoloso, entrambi fonti di incidenti della circolazione talvolta anche gravi”.

La neve e la sua distribuzione, dove nevica di più e perché

Anche in questo caso torna utile una premessa piuttosto scontata, ma importante: “La neve cade nelle zone dove le temperature riescono a raggiungere gli zero gradi, quindi dove fa freddo e dove i sistemi frontali causano la formazione di precipitazione. Generalizzando possiamo quindi dire che il limite è rappresentato dalla latitudine di 35 gradi nord, più a sud di questa linea le nevicate a basse quote sono rare o rarissime, anche se non impossibili. Nel deserto, che associamo normalmente a un caldo intenso, a causa di fattori particolari, non da ultimi l’aria molto secca e l’effetto albedo della sabbia che, seppur non forte come quello della neve, fa il suo lavoro, di notte le temperature calano di parecchio, ancor più se il cielo è sereno. Questo può talvolta creare i prerequisiti per vedere, come testimoniano le immagini catturate e divulgate sul web negli ultimi anni, qualche spolverata di neve nel territorio dei cammelli. Per parlare di neve abbondante non dobbiamo però nemmeno spingerci troppo a nord, in quanto nelle zone polari l’aria è certamente molto fredda e risponde a uno dei requisiti per favorire la neve, ma al contempo è così fredda che quest’aria - come visto anche nelle puntate precedenti – può contenere poco vapore acqueo e le nevicate risultano quindi piuttosto deboli, seppur frequenti. Fatte queste premesse, possiamo quindi dire che i luoghi dove le nevicate sono più abbondanti, si trovano a latitudini medie e medio-alte: con riferimento all’Europa, si parte dalle Alpi e da lì su verso nord fino a raggiungere il massimo sulle montagne e sui rilievi della Norvegia, della Svezia e della Finlandia. Questa è la fascia che, grazie soprattutto a perturbazioni più frequenti, riceve l’innevamento maggiore, e lo stesso avviene in Nordamerica e in Asia, come ad esempio in Giappone. Anche in questo caso non mancano però le eccezioni: su tutta la costa occidentale del continente americano, ma ancora più quella occidentale o nordoccidentale dell'Europa (Scozia, Irlanda e Regno Unito in generale), le nevicate sono decisamente più rare. Il motivo va ricercato, come visto con il vortice polare, nelle correnti che arrivano spesso da ovest portando verso le coste aria calda riscaldata dalla superficie oceanica tiepida. C’è poi però anche un effetto quota da tenere presente: tornando in Africa e salendo sul Kilimangiaro, o spostandoci in Asia su catene come quella himalayana, la grande altezza di questi rilievi permette il deposito di quantità importanti di neve anche a latitudini molto più basse”.

Le dinamiche e le “fasce” sono simili per l’emisfero australe ma, come già visto per il vortice polare, sussiste un’importante differenza che rimescola un po’ le carte in tavola: “Nell’emisfero sud abbiamo decisamente meno terraferma alle medie e alte latitudini, sono prevalentemente zone oceaniche. La distribuzione sarebbe quindi simile, ma a parte le eccezioni di regioni come la Patagonia, non può essere misurato un vero e proprio accumulo per fare un confronto.”

Dati e record: dal fiocco di 38 cm ai quasi 29 metri caduti in un inverno

Arriviamo ora ai dati più significativi che troviamo nelle serie di registrazioni meteorologiche sparse per tutto il globo e, come sottolinea Luca Nisi, vale la pena partire da una curiosità: “È un dato che mi ha meravigliato e non ne ero a conoscenza, ovvero il fiocco di neve più grande mai osservato e riportato dal Guinness dei primati: 38 centimetri di larghezza per 20 di spessore, un vero gigante difficile da immaginare, caduto nel Montana nel gennaio 1887. Vista la data e le dimensioni qualche legittimo dubbio può sorgere, ma è altrettanto vero che di solito per entrare nel Guinness i dati vengono verificati in maniera abbastanza selettiva e il fatto è stato riportato da diversi media dell’epoca. Ovviamente scientificamente in realtà è difficile pensare che si trattasse davvero di un unico fiocco, quanto piuttosto un conglomerato di migliaia di fiocchi, ma la dimensione resta impressionante”.

Abbandonando la curiosità da guinness, i record impressionanti abbondano però anche nei rilevamenti ufficiali: “Sull’intera stagione invernale il quantitativo di neve fresca caduta e misurata corrisponde addirittura a 28 metri e 95 centimetri, sul Mount Baker negli Stati Uniti nell’inverno 1998/99. A titolo di confronto, spostandoci in Svizzera e prendendo appunto la somma delle nevicate giornaliere (non l’altezza totale del manto), il record lo si trova all’ospizio del Grimsel (1980 metri), dove nell’inverno 1974-75 sono stati misurati 20,73 metri di neve caduta. Se si prende in esame invece l’altezza del manto nevoso, quindi considerando anche gli effetti di compressione della neve al suolo, il valore massimo ci porta in Giappone al 14 febbario del 1927, quando la coltre bianca ha raggiunto ben 11 metri e 82 centimetri. La nevicata più intensa sulle 24 ore ci riporta invece sull’altra sponda del Pacifico: in Colorado, negli USA, nel 1921 vennero misurati 192 cm al suolo in un solo giorno. Procedendo anche qui con un ‘confronto svizzero’ rispunta l’ospizio del Grimsel, ma questa volta a parimetro con il passo del Bernina: nel primo caso il 15 aprile 1999, nel secondo il 30 marzo 2018, sono stati misurati 130 centimetri in 24 ore. E non stupisce che sia avvenuto in primavera, proprio perché come dicevamo prima arrivano masse d’aria più calde (relativamente, sempre sotto lo zero) con maggiore umidità a disposizione”. A questo proposito va aggiunta una precisazione, soprattutto per i lettori delle vallate del Sopraceneri che, giunti a questo punto, potrebbero magari avere il dubbio che questi valori siano in realtà già stati raggiunti anche in Ticino nelle zone montane: “Potrebbe essere vero, ma purtroppo non abbiamo stazioni di misura ovunque, ma anche a me è già capitato di misurare nevicate con accumuli orari da 8-9 centimetri, quindi molto intense… e pensando in particolare alla Valle Bedretto è versomile che questi 130 centimetri in 24 ore siano già stati raggiunti, ma non abbiamo le misure ufficiali a suffragarlo.”

Neve e cambiamento climatico: davvero nevicherà sempre meno?

Per rispondere alla domanda delle domande, che popola gli incubi degli amanti della neve, bisogna partire da due aspetti importanti legati alla questione: “Il primo è oggi ben conosciuto: le temperature a livello globale – Svizzera compresa – stanno aumentando e in tutte le stagioni, anche se l'aumento stagionale è in parte mitigato da effetti locali (inversioni termiche un po’ meno importanti d’inverno che d’estate). Inoltre, dal 1970, e penso che non dico niente disconosciuto, al di sotto degli 800 metri di quota, i giorni con neve fresca sono diminuiti addirittura del 50%, mentre al di sopra dei 2000 metri del 20%. Già oggi in pianura abbiamo quindi la metà dei giorni con neve fresca rispetto agli anni ’70, e stiamo parlando di soli 50 anni, e anche in quota abbiamo una lieve diminuzione. A causa del riscaldamento climatico possiamo affermare che i giorni con neve fresca e l'accumulo totale sono destinati a dimuniure alle quote basse e medie. Se guardiamo gli scenari climatici per la Svizzera, prendendo come riferimento il 2060 a una quota di 1500 metri, dagli attuali 60 giorni di neve con accumulo al suolo, si scenderà - anche a dipendenza della strategia di protezione del clima adottata – tra i 30 e i 40 giorni. Alle quote più basse, dai 5-10 giorni attuali con fiocchi al suolo si passerà invece a 1-2 giorni. In generale al di sotto dei 1000 metri si può dire che il valore di riduzione dei giorni con neve previsto è del 50% entro metà secolo e ben dell’80% entro fine secolo. È però importante dire che, anche in relazione al mutamento climatico, rimarrà una spiccata variabilità meteorologica nella regione alpina e la nevicata abbondante fino a basse quote sarà sempre possibile anche in futuro, ma sarà appunto meno frequente.”

Il secondo aspetto che magari molti non conoscono riguarda sempre gli scenari climatici che, proprio per l’evoluzione data dai cambiamenti climatici, indicano pure che le precipitazioni invernali in futuro saranno in aumento: “Gli scenari climatici non sono però in grado di fornirci indicazioni sulla distribuzione delle precipitazioni, potranno esserci meno eventi, ma con un apporto più importante. Questo significa che per le quote più elevate, indicativamente quelle superiori ai 3mila metri, l’accumulo di neve potrà essere anche più importante rispetto ad oggi. Ma se pensiamo bene alla quantità di territorio che abbiamo in Ticino al di sopra dei 3000 metri, o anche solo al di sopra dei 2500, è poca cosa: si tratta principalmente di cime delle montagne, di conseguenza la superficie di territorio in percentuale è molto bassa. Se pertanto a queste quote dovesse esserci un maggiore accumulo, sarebbe una magra consolazione poco significativa per lo stoccaggio di acqua sotto forma solida per l’estate” conclude Nisi con una punta di amarezza.

#lameteospiegata è una serie RSINews, in collaborazione con MeteoSvizzera, che nasce con l’intenzione di approfondire, una volta al mese, un tema meteorologico non per forza legato alla stretta attualità. La missione: renderlo accessibile e comprensibile.

Altri blog della serie #lameteospiegata dedicati alla neve:

La neve, oltre i fiocchi c'è di più –  parte 1

La neve, oltre i fiocchi c'è di più –  parte 2

Il blog completo de #lameteospiegata sul sito web di RSI è accessibile al seguente link: https://bit.ly/3j58kRG