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La neve, oltre i fiocchi c'è di più – Parte 2

MeteoSvizzera-Blog | 28 gennaio 2023
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Continuiamo il nostro viaggio esplorativo della serie #lameteospiegata sul tema della neve. In questa seconda puntata analizziamo nel dettaglio le diverse tipologie di neve ed entreremo nel magico mondo della geometria dei fiocchi di neve. Inoltre vi siete mai chiesti perché la neve è bianca?

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Le diverse tipologie di neve, in cielo e al suolo

Il sottotitolo non è casuale, perché le tipologie di neve afferiscono a due classi principali: quando cadono dal cielo si parla di tipologia di precipitazione nevosa, e quando si deposita di tipi di neve al suolo. Luca Nisi di MeteoSvizzera: “A livello macroscopico nelle precipitazioni il primo tipo che troviamo è il nevischio: è il corrispettivo della pioviggine e i cristalli di ghiaccio che lo compongono sono di un colore bianco opaco. Spesso sono appiattiti o allungati, quindi non hanno la classica forma del fiocco di neve dell’immaginario comune, quelli disegnati che vediamo ovunque; bisogna piuttosto immaginare come delle ‘mini barrette’ di ghiaccio con un diametro molto molto piccolo, inferiore al millimetro. Il nevischio solitamente non causa accumuli di neve al suolo, se non una lievissima spolverata in alcuni casi. Si verifica quando c'è poca umidità, le precipitazioni sono molto deboli e soprattutto in una massa d'aria molto fredda (temperature sotto zero fino al suolo). Parliamo invece di nevicata quando dal cielo cadono dei cristalli di ghiaccio o aggregazioni (generate dallo scontro tra cristalli), che generano dei fiocchi un po’ più grandi. In generale si parla di neve quando il diametro dei fiocchi supera almeno il millimetro. A questo proposito, dopo lo vedremo, sono stati osservati dei fiocchi veramente enormi e al di là di quello che ognuno di noi può immaginare. Poi abbiamo la neve tonda: non la si osserva di frequente, ma quando capita spesso anche in sala previsione a Locarno Monti ci arrivano delle segnalazioni che parlano di una caduta sul terreno di piccole palline che sembrano quelle di ‘sagex’ (polistirolo). È anche definita come grandine molle o pallottoline di neve e si tratta di idrometeore con forma sferica bianche e opache anch'esse. A differenza del chicco di gragnuola o di grandine, formati da ghiaccio duro, prendendo in mano uno di questi pallini si nota che è possibile comprimerlo. Li possiamo tipicamente osservare in primavera o anche in inverno quando abbiamo una massa d’aria particolarmente instabile, quando le precipitazioni assumono un carattere convettivo, ovvero temporalesco. I pallottolini di neve sono composti da un nucleo centrale ricoperto da goccioline congelate. Si formano quando su una particella di ghiaccio, di solito un cristallo, si accumulano goccioline di acqua sopraffusa (gocce allo stato liquido ma in una temperatura ambiente inferiore allo zero gradi), che si congelano rapidamente. La loro densità è generalmente bassa, inferiore a 0.8 g/cm3, a causa degli spazi d'aria tra il nucleo e le goccioline congelate. La neve tonda, anche denominata come gragnuola opaca, in inglese è denominata con "snow pellets". Non è da confondere con gli "ice pellets", ovvero la gragnuola translucida. Quest'ultimo tipo di idrometeore sono originate da fiocchi di neve che generalmente cadono dalle nubi di tipo altostrato o nembostrato in uno strato di aria calda sottostante. I fiocchi fondono almeno parzialmente e se continuando la loro corsa verso la superficie terrestre incontrano uno strato di aria fredda possono congelare nuovamente raggiungendo quindi il suolo come precipitazione solida.
Le palline di ghiaccio sotto forma di gocce di pioggia ghiacciata (fiocchi di neve che sono fusi completamente nello strato di aria calda) sono trasparenti, mentre i fiocchi di neve ricongelati, meno comuni, sono in parte trasparenti e in parte opachi, a seconda che il fiocco di neve si sia sciolto completamente o solo parzialmente. Le palline di ghiaccio, a differenza della neve tonda, non sono facilmente frantumabili. Quando cadono su un terreno duro, in genere rimbalzano con un suono udibile al momento dell'impatto. La loro densità è solitamente vicina o superiore a quella del ghiaccio (0.92 g/cm3).

L'ultima categoria, molto semplice e che tutti conoscono, è quella dell’acquaneve, la forma mista, ovvero quando durante una precipitazione sono concomitanti sia i fiocchi di neve sia le gocce di pioggia. Spesso l’acquaneve è solo un momento e può essere una transizione da una nevicata verso la pioggia o viceversa, quando a causa dell'intensificazione delle precipitazioni oppure dell'arrivo di aria più fredda, si passa dall’acqua alla neve. Un po’ come abbiamo osservato alle quote più basse in Ticino durante le prime fasi della nevicata dello scorso 9 dicembre.”

Esiste poi come già scritto anche una classificazione della neve una volta che ha raggiunto il suolo, la letteratura riporta infatti sei classi principali: “Si inizia parlando di spolverata quando il manto che rimane a terra è misero. La spolverata potrebbe far pensare alla neve polverosa, ma alle nostre latitudini si utilizza il termine anche quando si accumula al suolo qualche centimetro di neve bagnata. Di neve polverosa si parla invece quando i fiocchi cadono con temperature a zero gradi o inferiori e rimane poi molto freddo anche al suolo. Come penso tutti abbiano già visto, si tratta di una neve molto soffice sulla quale basta soffiare con la bocca per vedere uno spostamento al suolo. La neve pesante è invece presente quando la neve cade in una massa d’aria mite e quindi risulta bagnata. Ma può anche comparire partendo dalla neve polverosa, sempre a causa dell’aumento delle temperature che innesca il processo di fusione e quindi l’umidificazione del manto nevoso. Al contrario, la neve ghiacciata compare quando un manto nevoso umido e bagnato, in seguito a un calo della temperatura, magari di notte, fa appunto ghiacciare la neve, che subisce una trasformazione e si riformano i cristalli di ghiaccio all’interno del manto dove durante il giorno si è pure magari infiltrata acqua di fusione. Alla fine del processo questa neve viene poi definita neve trasformata, un’ulteriore classe a sé stante: il ciclo continuo giorno-notte e i cambi di temperatura continuano infatti a lavorare e modificare questa neve di giorno in giorno. L’ultima categoria, che troviamo soprattutto in montagna ed è ben conosciuta – e spesso temuta, non tanto per le valanghe ma per la difficoltà a ‘sciarla’ –  da chi pratica lo sciescursionismo, la cosiddetta neve ventata. Il vento e l’umidità infatti, con il loro lavoro incessante lavoro, trasformano la neve formando una crosta molto dura in particolare sulla superficie. in Ticino la chiamiamo anche neve cartonata, che viene probabilmente dal dialetto quando si dice che “l’è come carton”.

L’accumulo al suolo: attacca o non attacca?

Anche in questo caso una premessa si rende utile e riguarda due concetti che anche da noi sono utilizzati nei bollettini di MeteoSvizzera: “Come molti altri numerosi uffici meteorologici, nei nostri bollettini indichiamo il limite delle nevicate: si tratta della quota dove durante un evento di precipitazione sono presenti in egual quantità gocce di pioggia e fiocchi di neve, al 50 e 50 insomma, anche se si tratta di un’approssimazione perché andare a contarli è abbastanza impensabile. Questo limite dipende primariamente da una combinazione di temperatura e umidità dell’aria, ma generalmente si situa dove la temperatura oscilla tra poco più di 0  e 2 gradi, di solito 3-400 metri di dislivello al di sotto dell’isoterma di zero gradi. In questa zona, e molti forse non lo sanno, non è da attendersi accumulo nevoso al suolo. Per determinare il limite delle nevicate in meteorologia viene utilizzata maggiormente la temperatura psicrometrica, un valore di temperatura che tiene conto anche dell’umidità dell’aria. Il limite della neve invece, che è differente e che non viene indicato nelle previsioni, indica la quota dalla quale la neve inizia a imbiancare e a rimanere presente, ad ‘attaccare’, sul terreno. Solitamente lo si trova 100-200 metri più in alto rispetto al limite delle nevicate, ma sempre al di sotto dell’isoterma di zero gradi di circa 200 metri. Semplificando e pensando in ‘verticale’, scendendo dall’alto troveremo prima l’isoterma di zero gradi, al di sopra del quale di solito la neve è polverosa, dopodiché, scendendo 200 metri, la neve inizia a diventare umida o bagnata ma è ancora presente al suolo: qui avremo il limite della neve. Infine, circa altri 200 metri al di sotto avremo il limite delle nevicate senza accumulo”.

Quello che però interessa ai più, e spesso scatena discussioni date da percezioni personali anche molto diverse, sono i centimetri – o metri in alcuni casi – che restano al suolo dopo le precipitazioni. Precipitazioni che nei bollettini vengono però espresse in millimetri (d’acqua): come regolarsi quindi? “In caso di neve pesante o bagnata possiamo avere un rapporto fino a 10 a 1: significa che per 10 mm di precipitazione caduti, a terra resterà un centimetro di neve. Si può addirittura arrivare anche a rapporti di 50 mm che lasciano al suolo solo qualche centimetro di “poltiglia” , ovviamente dipende dalla temperatura, da quanto sono bagnati i fiocchi e, non da ultimo, dalla temperatura del terreno. A questo proposito si può dire ad esempio che la neve tardo autunnale a basse quote attacca meno velocemente rispetto a quella primaverile, proprio a causa del terreno più caldo dopo l’estate. Con la neve umida, che solitamente cade attorno agli zero gradi, il rapporto è circa di uno a uno, quindi un millimetro d'acqua caduta corrisponde a un centimetro di neve. Con la neve asciutta e polverosa il rapporto s’inverte rispetto alla neve pesante: lo si vede spesso in montagna, dove a un millimetro di precipitazione possono corrispondere addirittura due-tre centimetri di neve, nelle zone polari si può perfino arrivare a sette-otto centimetri. Più è freddo più la neve è infatti polverosa, contiene più aria e quindi aumenta l’accumulo”. Infine, la neve caduta e accumulatasi al suolo va incontro al suo destino, che - dopo un più o meno lungo processo di trasformazione e cambiamento di stato - è già segnato e può avere un esito bivalente: “O la fusione completa, oppure se ci troviamo a quote molto alte, in presenza di un ghiacciaio, ci sarà una trasformazione in ghiaccio e firn”.

Il fascino della geometria e la magia della natura, anche se i fiocchi possono essere uguali

Non esiste un fiocco di neve uguale all’altro. Chi non ha mai sentito e interiorizzato questo assioma che ci accompagna fin da quando siamo piccoli? Ma è davvero così, e cosa si può dire della forma dei fiocchi? “Iniziamo dal mantra dei due fiocchi mai uguali: scientificamente possiamo dire che è scorretto, è infatti perfettamente possibile fisicamente averne due uguali, anche se improbabile e molto raro. Dobbiamo pensare che un fiocco di neve è composto da migliaia di piccoli cristallini di ghiaccio ed è quindi veramente difficile che due fiocchi siano perfettamente identici, anche due che crescono molto vicini e nelle stesse avranno sempre una piccola differenza. Ma bisogna altrettanto sottolineare che la Società meteorologica americana (AMS) ha riferito nel 1986, tramite uno studio su una nevicata precoce il 1° di novembre, di aver trovato due fiocchi a piastra esagonale che, dopo un’analisi al microscopio, sono stati definiti perfettamente identici. Come detto, raro ma possibile.”

Tornando sulla geometria diversificata, così come per il manto nevoso al suolo, la forma finale del fiocco dipende dall'ambiente in cui cresce e principalmente dai due parametri di temperatura e umidità dell'aria, a cui va aggiunta anche la velocità di caduta: più è alta e più aumenta la possibilità di collisione e aggregazione con altri fiocchi. “Sebbene esistano fiocchi di neve di forma allungata, ad ago e cilindrica, la maggior parte dei cristalli di neve assume una forma esagonale e questo deriva principalmente dalla struttura cristallina del ghiaccio, che a sua volta discende dalla struttura molecolare dell'acqua. Quest’ultima quando congela tende infatti a formare dei prismi esagonali, attorno ai quali spesso si formano ulteriori prismi, talvolta esagonali, talvolta più allungati, chiamati rami che danno origine al tipico fiocco di neve come lo intendiamo di solito. Sempre a dipendenza di temperatura e disponibilità di umidità il fiocco di neve può così assumere davvero le più svariate e incredibili forme. Grazie alla ricerca empirica (condizioni ambientali e osservazioni al microscopio), in letteratura esiste comunque uno schema che mostra tutte le macro forme possibili a dipendenza proprio di temperatura e umidità.”

L’acqua (e il ghiaccio) sono trasparenti, ma noi vediamo la neve bianca: la spiegazione

Il colore della neve, che noi vediamo bianca, è il risultato di un effetto di riflessione dei raggi solari: “Abbiamo visto che il manto nevoso è composto da milioni di cristalli di ghiaccio differenti tra loro, cristalli che di per sé sono trasparenti. Questi cristalli però riflettono e deviano i raggi solari in maniera casuale, perché sono tantissimi e sono posizionati nel manto nevoso in maniera abbastanza caotica, generando una riflessione diffusa. Al nostro occhio arriva pertanto la somma di questa riflessione che è una composizione di tutti i colori dello spettro, dato che i cristalli di ghiaccio non assorbono nessun colore, e la fisica ci spiega che quando questo accade l’occhio umano lo elabora e percepisce come un bianco perfetto”. Il colore bianco della neve ha poi anche una conseguenza molto pratica quando cade durante il giorno: riduce la visibilità, andando a diminuire il contrasto della luce diffusa presente. “Al contrario quando abbiamo un fiocco di neve che cade durante la notte, se è presente una fonte luminosa che illumina i fiocchi, il contrasto con lo sfondo notturno nero è molto forte e i fiocchi sono quindi visibili molto bene. Se penso ai ricordi di bambino, quando si cercava di capire se nevicasse o meno, di giorno si cercava un albero scuro per vedere i fiocchi, mentre di notte si cercava un lampione o una luce. Infine il colore della neve può essere anche rossastro-marroncino, ma in questo caso è dovuto al deposito delle polveri sahariane, un fenomeno osservato anche negli ultimi inverni sulle Alpi.”

Dal bianco all’effetto Albedo, il protettore di terreni e ghiacciai

Sempre rimanendo nell’ambito di colore e riflessioni, un altro aspetto legato alla neve e che si sente spesso citare è il cosiddetto effetto Albedo. “Consiste, in parole povere, nella riflessione della luce solare che arriva al suolo. I fiocchi come detto non assorbono nessun raggio e anzi li riflettono, quindi più la superficie è bianca e chiara e maggiore sarà l’effetto Albedo. Le conseguenze? Da una parte un effetto di abbaglio, tutti sanno infatti che quando c’è il sole è difficile tenere aperti gli occhi quando ci troviamo in un paesaggio imbiancato. Dall’altra il manto nevoso offre una protezione al terreno, impedendogli di riscaldarsi. La stessa cosa avviene sui ghiacciai, è per questo che è importante che a inizio estate ci sia ancora uno strato bianco sopra il ghiaccio, così questo riceve meno radiazione solare e quindi il processo di riscaldamento e fusione è minore”.

L’effetto albedo ha una sua scala di misurazione e l’albedo massima è 1 (un oggetto perfettamente bianco), ovvero quando tutta la luce viene riflessa, mentre il minimo è 0 (oggetto perfettamente nero). L'albedo della neve fresca arriva fino a 0,9, mentre ad esempio una lavagna arriva a circa 0,15. L'albedo si può anche misurare in percentuale (1 uguale a 100%): la Terra ha un'albedo media di 0,37-0,39, quindi del 37%-39%. Un effetto albedo alto, come nelle distese artiche o subpolari, può inoltre contribuire a mantenere bassa la temperatura, vista la riflessione dei raggi – e quindi dell’energia – del sole.

#lameteospiegata è una serie RSINews, in collaborazione con MeteoSvizzera, che nasce con l’intenzione di approfondire, una volta al mese, un tema meteorologico non per forza legato alla stretta attualità. La missione: renderlo accessibile e comprensibile.

Altri blog della serie #lameteospiegata dedicati alla neve: La neve, oltre i fiocchi c'è di più –  parte 1

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