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Il vortice polare, l'amministratore del freddo – parte 3

MeteoSvizzera-Blog | 04 gennaio 2023
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Terza e ultima puntata della serie #lameteospiegata sul tema del vortice polare. In questa puntata diamo un’occhiata a qualche record, cerchiamo di capire se il cambiamento climatico possa addirittura intensificare le ondate di freddo e diamo un veloce sguardo alla dinamica atmosferica sopra il Polo Sud.

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Dati e record europei, dal grande nord alla Svizzera italiana

Per quanto riguarda i picchi di freddo assoluti registrati in Europa, “si può certamente dire che sono notevoli: il 31 dicembre del 1978, l’ultimo giorno dell’anno, nella parte europea della Russia si sono toccati i -58,1 gradi. Avvicinandoci alla Svizzera e alla zona alpina troviamo una temperatura di -52,6 gradi registrata nel 1932 in Austria. Nel 1966 la stessa identica temperatura è stata toccata anche in Svezia. Per quanto riguarda invece la Svizzera il record appartiene, ‘ça va sans dire’, alla famosa La Brévine – nota anche come la Siberia elvetica – dove nel gennaio 1987 la colonnina segnava -41,8 gradi. Tutte temperature che possiamo definire decisamente polari, anche per l’Europa. È pure interessante notare come questi estremi di temperatura non siano stati legati per forza a dei fenomeni di riscaldamento stratosferico importante, anche se chiaramente sono state misurate in occasione di intense ondate di freddo, anche grazie alla formazione di forti inversioni termiche notturne in particolari condizioni di cielo sereno e la presenza di aria molto secca. Questo per sottolineare come non per forza i record siano legati allo ‘stratwarming’ e alla rottura del vortice con il posizionamento di un lobo sopra la Siberia. Talvolta l’aria artica può infatti spingersi verso sud anche per altre configurazioni particolari nella distribuzione delle zone di alta e bassa pressione nella troposfera, anche se magari con un’intensità minore” afferma Luca Nisi di MeteoSvizzera.

La relazione con il vortice è invece più evidente spostandoci a Sud delle Alpi: “È molto interessante perché a livello europeo abbiamo cinque anni per eccellenza per i quali, basandoci sulle osservazioni, possiamo dire con sicurezza che c'è stata un'importante frammentazione del vortice polare a causa di un riscaldamento stratosferico improvviso: 1929, 1963, 1985, 2012 e 2018. Emerge come la distribuzione sia irregolare, eccezion fatta per il 2012-2018, e possono quindi passare tanti anni tra un evento e l’altro di forte riscaldamento, frammentazione e con un lobo posizionato sulla Siberia. Tornando alle temperature, salta all’occhio come a sud delle Alpi diversi record nelle diverse stazioni riguardino proprio questi anni. Ad esempio uno dei più recenti è quello del Monte Generoso, con -18,8°, registrati proprio nel 2018. O possiamo citare un -19,3° a Cimetta rilevato nel 1985. Anche prendendo in considerazione stazioni più ‘alpine’ come Robiei (-20,5° nel 2018), Poschiavo (-22° nel 1963), Monte Rosa (-24,5° nel 2012) e Passo del Bernina (-29° nel 1985) ritroviamo proprio gli anni citati precedentemente.

Ci sono poi anche delle stazioni di pianura che hanno registrato in Ticino temperature molto basse, in particolare Stabio (-18,4°) e Cadenazzo (-16,9°), entrambe però riguardano il 1991, quindi non concomitanti con un effetto di riscaldamento stratosferico importante, ma bisogna anche dire che queste due stazioni sono influenzate da una forte inversione termica in caso di cielo sereno con aria di origine polare. Diciamo che ci sono degli effetti locali che aiutano le temperature ad abbassarsi in maniera importante, così come nel caso del record a La Brévine. Spostandoci infine su zone più urbane e sulla Mesolcina ritornano invece gli anni del vortice spezzettato: Lugano con -14° nel 1929, Locarno (-10,1°) e Grono (-11,6°) nel 1985”.

La relazione con il cambiamento climatico e l’apparente paradosso

Per addentrarci nell’ambito del cambiamento climatico una premessa è d’obbligo: “Legare la variazione di frequenza di eventi estremi al cambiamento climatico è sempre un'attività molto, molto delicata. La disponibilità di dati di osservazione sugli eventi estremi è infatti spesso molto scarsa per due motivi: perché le serie sono troppo corte e recenti o perché l’evento è troppo raro. E pochi dati di osservazione sono sempre sinonimo di una debole solidità statistica e a livello scientifico è ovviamente un problema. Bisogna però anche dire che grazie ai modelli climatici sempre più precisi e in grado di simulare sempre meglio la dinamica dell’atmosfera, negli ultimi anni è nata una nuova branca della climatologia, quella dell’attribuzione. In poche parole si fanno delle analisi per capire se un evento estremo è in qualche modo dovuto, o rafforzato, dal cambiamento climatico. Queste attività hanno sicuramente tracciato una nuova via, anche per gli eventi estremi”.

Fatta la premessa, si arriva poi alla sostanza: “Vale infatti la pena menzionare uno studio che è stato presentato recentemente su una rivista piuttosto prestigiosa, Nature Climate Change: ha dimostrato come le acque particolarmente calde, e sappiamo che gli oceani si stanno riscaldando in modo importante, soprattutto in superficie e in particolare nel Pacifico settentrionale, favorirebbe proprio lo stratospheric warming. Si può pensare insomma che le acque più calde favorirebbero il trasferimento di aria calda e calore dalla parte bassa dell’atmosfera, la troposfera appunto, verso la più alta stratosfera, favorendo la rottura del vortice polare e la formazione dei lobi secondari a latitudini un po’ più basse, con la relativa discesa di aria polare o artica verso le medie latitudini”. Ed eccoci quindi arrivati al paradosso: il riscaldamento delle acque, dovuto al cambiamento climatico, potrebbe addirittura favorire un aumento degli episodi di ondate di freddo estremo nell’inverno boreale, in particolare sul Nord America. “Ma come detto nella premessa, siamo ancora agli inizi di questi studi che sono per ora basati principalmente su modelli concettuali. Al contempo la comunità scientifica è impegnata a raccogliere il maggior numero di dati possibili per effettuare un’analisi che sia statisticamente più solida”. Insomma, le “pinze” con cui prendre questo studio restano per ora d’obbligo. In ogni caso, concludendo, bisogna comunque menzionare che un eventuale tendenza all’aumento delle ondate di freddo estreme in alcune zone è contrapposto da un netto aumento delle ondate di caldo intense, anche nelle stesse regioni. La temperatura media globale sta inesorabilmente aumentando, queste ondate di freddo temporanee sono come una “goccia gettata su un vasto incendio”.

La depressione d’Islanda e la fusione con il vortice polare

Iniziamo dalle definizioni: la depressione d’Islanda deve il suo nome al fatto che, durante il semestre caldo, nelle vicinanze dell’isola è sempre presente una zona di bassa pressione per lo più stazionaria.

“Senza entrare nel dettaglio delle dinamiche, per la sua formazione è importante il ruolo delle temperature superficiali dell’oceano Atlantico, così come lo scontro con masse d'aria più fresche a latitudini superiori. Talvolta questa circolazione ciclonica, soprattutto nella fasi inziali, quindi in tarda primavera fino all'inizio di giugno, viene inglobata nel vortice polare, che non è più così intenso ed è nella sua fase di indebolimento. Questa configurazione è importante perché rappresenta una situazione favorevole per l'arrivo di numerose perturbazioni atlantiche in particolare sull'Europa settentrionale, più a nord della Svizzera. Perturbazioni che si possono comunque sospingere anche più a sud interessandoci, anche se da noi in queste situazioni arrivano pochi sistemi frontali alla settimana, mentre sulle regioni più settentrionali – penso al nord della Scozia, all'Islanda, alla Norvegia e a tutti i paesi scandinavi – il numero può salire anche a 10-15 sistemi frontali settimanali. È per questo che quando questa bassa pressione viene inglobata nel vortice polare risulta ancora più persistente e l’alta frequenza di questi fronti continua anche per più settimane, tra l'altro portando delle precipitazioni molto, molto abbondanti in particolare sulla Norvegia.

Il vortice polare antartico, il gemello (diverso) a sud

Se ormai sappiamo quasi tutto del vortice polare artico, quello che ci riguarda da vicino, che cosa si può dire in conclusione di quello sul lato opposto del globo, al Polo sud? “Le dinamiche sono molto simili, al di là del fatto che chiaramente qui le zone di bassa pressione ruotano in senso orario, come ovunque nell'emisfero australe. Va anche ricordato che molto raramente però i due vortici polari, quello artico e quello antartico, sono presenti e forti nello stesso momento, dato che anche le stagioni sono invertite nei due emisferi. Detto questo, si può dire che il vortice antartico mostra tipicamente anche una forma più regolare, con una circolazione attorno al Polo un po’ più circolare che tende a ondulare meno. Questo avviene per diversi motivi legati alla dinamica atmosferica, non da ultimo il fatto che alle medie latitudini praticamente la quantità di terraferma, di continente, è decisamente ridotta. Ci sono insomma sicuramente diverse similitudini, ma il vortice polare antartico ha al contempo delle caratteristiche molto differenti, soprattutto nella sua evoluzione nel tempo per quanto riguarda la modulazione e lo spezzettamento: tende infatti a rompersi meno e anche gli eventi di stratwarming, seppur presenti, sono meno studiati e c’è ancora parecchia incertezza” conclude Luca Nisi.

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#lameteospiegata è una serie RSINews, in collaborazione con
MeteoSvizzera, che nasce con l’intenzione di approfondire, una volta al mese, un tema meteorologico non per forza legato alla stretta attualità. La missione: renderlo accessibile e comprensibile.

Il vortice polare, l'amministratore del freddo – parte 1:

Il vortice polare, l'amministratore del freddo – parte 2:

Il blog completo de #lameteospiegata sul sito web di RSI è accessibile al seguente link:
https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/Il-vortice-polare-lamministratore-del-freddo-15828799.html