Il favonio ha poi anche un influsso diretto su un altro fenomeno che abbiamo già trattato ne #lameteospiegata, la neve: “Ci sono due aspetti che si possono citare in presenza di favonio: prima di tutto il pericolo di valanghe, che può aumentare notevolmente a causa del favonio in corrispondenza della zona di sbarramento – e in generale del vento – che va a creare gli accumuli di neve ventata, spesso instabili. L’altra conseguenza sul manto nevoso è la capacità del favonio di ‘portarsi via’ la neve…essendo un vento piuttosto secco e in parte riscaldato, sotto il suo soffio la neve si scioglie infatti molto più velocemente, tanto che a nord delle Alpi il föhn viene anche chiamato ‘Schneefresser’, mangiatore di neve… più eloquente di così!”.
Per capirne di più: il gradiente adiabatico secco e quello saturo
Per comprendere questi due termini all’apparenza complessi e criptici, serve fare un passo indietro: “Partiamo dal gradiente termico verticale, che molto semplicemente si riferisce alla variazione di temperatura di un pacchetto di aria al variare della quota. Noi parliamo spesso di pacchetti di aria, ecco quando uno di questi pacchetti si alza di quota, come abbiamo visto prima a causa dell’espansione dovuta al calo della pressione, si raffredda. Viceversa, un pacchetto di aria che scende di quota aumenta la pressione, quindi si comprime e si riscalda (compressione adiabatica). Questo è quanto avviene in parole povere, mentre il termine adiabatico si riferisce a una trasformazione in cui non c'è nessuno scambio di calore con l'ambiente. Nella termodinamica per definire questi processi è stata quindi stabilita una correlazione tra la pressione, la temperatura e il volume che segue quindi la legge dei gas ideali (es. aria che sale, pressione diminuisce, volume aumenta e temperatura diminuisce). E qui arriviamo ai nostri due termini. Il gradiente adiabatico secco, che descrive appunto una variazione di temperatura di un pacchetto d’aria nel suo moto verticale, senza altri influssi, ha un valore di 0,976 gradi celsius ogni 100 metri di dislivello… insomma, è quel grado ogni cento metri di discesa che spesso si sente associare al favonio in caduta. Allo stesso tempo però l’aria non sempre è secca e può contenere dell’umidità: in questo caso la variazione di temperatura con la quota non corrisponde più al valore appena citato, bisogna invece affidarsi alla correlazione del gradiente adiabatico saturo. Nel movimento verticale di un pacchetto di aria che contiene umidità, quindi vapore acqueo, c’è comunque un raffreddamento alzandosi di quota (o riscaldamento abbassandosi), ma ha appunto un’intensità differente e non lineare come nel caso del secco. Abbiamo pertanto una variazione che cambia più o meno velocemente con il variare della quota, perché non bisogna dimenticare – come già visto nelle puntate precedenti, ndr – che l'aria fredda può contenere meno vapore acqueo rispetto all'aria più calda. Il valore stabilito è di 0,6 gradi ogni 100 metri di quota, ma è una sorta di media, in quanto con il diminuire della temperatura e l’aumento della quota il valore aumenta e si avvicina sempre più al gradiente adiabatico secco, proprio perché l’aria raffreddandosi conterrà meno umidità. Va inoltre considerato che la condensazione del vapore acqueo è un passaggio di stato che libera calore, il calore latente di condensazione, e questo effetto va a rallentare il raffreddamento del pacchetto. Per questo il valore indicato è solo quello medio”.