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Il favonio, l'asciugacapelli delle Alpi - Parte 1

MeteoSvizzera-Blog | 17 marzo 2023
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Da dove arriva il nome föhn? Come, dove e perché si forma questo vento? Quali sono le conseguenze legate al favonio? Nella nona puntata de #lameteospiegata, una collaborazione con RSINews, approfondiremo il tema del favonio. Come di consueto la serie è suddivisa in tre parti che verranno pubblicate oggi e nei prossimi due giorni.

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“Fischia il vento, urla la bufera…”. Sì, ma nel nostro caso la bufera è solo da una parte delle Alpi, mentre è dall’altra che fischia il vento. Qualcuno lo avrà forse intuito: nella nona puntata della serie RSINews #lameteospiegata, parleremo di favonio.

Per parlare di föhn (no, non dell’apparecchio per asciugare i capelli) – come è conosciuto nella maggior parte della Svizzera – questa volta ci faremo guidare da Cecilia Moretti, giovane meteorologa che ha conseguito un master con una tesi proprio sulla climatologia del favonio, e dalla lunga esperienza di Stefano Zanini, pure lui meteorologo con alle spalle anche una lunga permanenza da previsore a Nord delle Alpi, dove questo vento particolare è altrettanto conosciuto e ‘chiacchierato’ come sul versante sudalpino, se non di più.

Che cos’è il favonio

Sarà scontato, ma la prima cosa da dire è certamente che il favonio è un tipo di vento: “Si può partire dalla definizione dell'Organizzazione Mondiale di Meteorologia, che definisce il favonio come un vento di caduta che si verifica generalmente sul versante sottovento di una catena montuosa a causa della discesa di aria più calda e più secca. Per capirci, nel caso del favonio che colpisce da noi, quello che soffia da nord, il versante sottovento è proprio quello del Sud delle Alpi dove si verifica il favonio, quello sopravento è invece da dove arriva la corrente, il Nord delle Alpi. Si tratta però di una definizione generale che non sempre è così corretta, perché parlare di discesa di aria più calda è un po’ fuorviante. Infatti se pensiamo al nostro caso, sul versante sudalpino, questo vento da nord può anche essere percepito come un vento freddo, perché dipende dalla temperatura di partenza della massa d'aria. È vero che spesso è più caldo, ma non vuol dire che venga sempre percepito così”.

Come, dove e perché si forma il favonio

Per avere dei fenomeni di favonio sono diversi gli elementi che devono essere presenti: “Prima di tutto ovviamente ci deve essere una catena montuosa e questa deve essere attraversata trasversalmente, perpendicolarmente da forti correnti. Per questo viene definito anche vento di caduta: si verifica oltre una catena montuosa e scende per le vallate. Di norma questo tipo di vento ha poi un’umidità relativa piuttosto bassa e delle temperature più alte rispetto a quelle di partenza, quando l’aria si trova oltre la catena montuosa prima di attraversarla. C’è poi sempre una componente sinottica (la condizione atmosferica su larga scala in un dato momento), ad esempio con il favonio alpino, deve essere presente una zona di alta pressione da una parte della catena montuosa e dall'altra parte una zona di bassa pressione… in questo modo, semplificando all’osso, si creano delle correnti che soffiano dall'alta pressione verso la bassa pressione. In questo senso noi parliamo di gradiente di pressione tra un versante e l’altro delle Alpi. Questo gradiente può anche formarsi quando abbiamo due masse d'aria con temperature diverse. La densità della massa d’aria cambia infatti con il variare della temperatura e di conseguenza anche la pressione è diversa: è la componente idrostatica che ogni tanto viene citata, che si può aggiungere a quella sinottica. Di norma dalla parte dove c’è l’aria più fredda la pressione è più alta e automaticamente si creano queste correnti che cercano sempre di compensare la differenza di pressione, muovendosi verso la zona con la pressione più bassa. Da qui nascono le correnti favoniche.”

Ci sono poi due altri fattori da considerare e che spesso si osservano: il già citato riscaldamento dell’aria e le precipitazioni dovute allo sbarramento, il cosiddetto effetto Stau. “Le teorie sono diverse, ma diciamo che quella classica – anche se non spiega in modo del tutto corretto il fenomeno – può essere utile per una comprensione generale: abbiamo le correnti che si avvicinano alla catena alpina, con una massa d’aria che ha una determinata temperatura e una determinata quantità di umidità contenuta. Questa massa d'aria, incontrando l’ostacolo della catena alpina, è forzata a salire e salendo tende a espandersi, avendo una pressione che diminuisce con la quota, e questo fa sì che la massa d’aria si raffreddi e l’umidità condensi. Dalla condensazione possono poi nascere spesso le precipitazioni date dallo sbarramento. Automaticamente una parte del vapore acqueo contenuto nella massa d'aria va perso a seguito della condensazione e delle precipitazioni. Oltre la catena alpina quest'aria ‘asciugata’ – diciamo – scende poi sull’altro versante, riscaldandosi secondo il gradiente adiabatico secco, un concetto che spiegheremo più avanti, ma che permette di raggiungere una temperatura più alta rispetto a quella di partenza. Nelle Alpi, ed in particolar modo sulle pianure nordalpine, abbiamo poi infine anche un altro aspetto da considerare: la presenza regolare nei bassi strati di quelli che chiamiamo laghi di aria fredda: anche in questo caso le dinamiche sono le stesse e il vento prende il nome di favonio, ma l’aria non arriva dalle quote più basse ma ‘scivola’ e scorre sopra l’aria fredda. Con la presenza del lago di aria fredda dal lato sopravento si avrà una quota di partenza della massa d’aria più elevata e un arrivo oltre la catena montuosa a quote più basse, in seguito le dinamiche sono sempre le stesse, con un pacchetto di aria che scendendo lungo le vallate si riscalda per compressione adiabatica (vedi dopo).”.

Le conseguenze del favonio e i fenomeni associati

Dell’effetto sbarramento sul versante sopravento, probabilmente uno degli effetti più importanti associati al favonio, abbiamo già detto, ma qualcosa è utile aggiungere: “Solitamente le precipitazioni sono più intense a ridosso della catena alpina e, a volte, quando il fenomeno è piuttosto intenso, possono spingersi insieme alla nuvolosità in parte anche oltre lo spartiacque nord-sud, il cosiddetto muro del favonio, anche perché non c’è una separazione così netta. Nella zona di sbarramento abbiamo inoltre la maggiore nuvolosità, mentre più ci si allontana dalla catena alpina minore è lo spessore dello strato nuvoloso. Oltre il muro del favonio invece, quindi dalla parte dove soffia il vento di caduta, si possono formare delle nubi lenticolari, chiamate così perché hanno una tipica forma che assomiglia a una lente. Queste nubi si formano per un’interazione tra le correnti che superano la montagna, e che iniziano ad avere un movimento ondulatorio dato dall’impulso che ricevono superando le Alpi, con dei piccoli movimenti verticali della massa d’aria stessa. Di solito una volta createsi rimangono stazionarie per tutta la durata dell’evento di föhn. Andando ancora oltre troviamo poi le ampie schiarite, date dalla discesa dell’aria più calda e secca che dissolve la nuvolosità e produce queste zone di cielo limpido, chiamata solitamente la finestra del favonio”.

Il favonio ha poi anche un influsso diretto su un altro fenomeno che abbiamo già trattato ne #lameteospiegata, la neve: “Ci sono due aspetti che si possono citare in presenza di favonio: prima di tutto il pericolo di valanghe, che può aumentare notevolmente a causa del favonio in corrispondenza della zona di sbarramento – e in generale del vento – che va a creare gli accumuli di neve ventata, spesso instabili. L’altra conseguenza sul manto nevoso è la capacità del favonio di ‘portarsi via’ la neve…essendo un vento piuttosto secco e in parte riscaldato, sotto il suo soffio la neve si scioglie infatti molto più velocemente, tanto che a nord delle Alpi il föhn viene anche chiamato ‘Schneefresser’, mangiatore di neve… più eloquente di così!”.

Per capirne di più: il gradiente adiabatico secco e quello saturo

Per comprendere questi due termini all’apparenza complessi e criptici, serve fare un passo indietro: “Partiamo dal gradiente termico verticale, che molto semplicemente si riferisce alla variazione di temperatura di un pacchetto di aria al variare della quota. Noi parliamo spesso di pacchetti di aria, ecco quando uno di questi pacchetti si alza di quota, come abbiamo visto prima a causa dell’espansione dovuta al calo della pressione, si raffredda. Viceversa, un pacchetto di aria che scende di quota aumenta la pressione, quindi si comprime e si riscalda (compressione adiabatica). Questo è quanto avviene in parole povere, mentre il termine adiabatico si riferisce a una trasformazione in cui non c'è nessuno scambio di calore con l'ambiente. Nella termodinamica per definire questi processi è stata quindi stabilita una correlazione tra la pressione, la temperatura e il volume che segue quindi la legge dei gas ideali (es. aria che sale, pressione diminuisce, volume aumenta e temperatura diminuisce). E qui arriviamo ai nostri due termini. Il gradiente adiabatico secco, che descrive appunto una variazione di temperatura di un pacchetto d’aria nel suo moto verticale, senza altri influssi, ha un valore di 0,976 gradi celsius ogni 100 metri di dislivello… insomma, è quel grado ogni cento metri di discesa che spesso si sente associare al favonio in caduta. Allo stesso tempo però l’aria non sempre è secca e può contenere dell’umidità: in questo caso la variazione di temperatura con la quota non corrisponde più al valore appena citato, bisogna invece affidarsi alla correlazione del gradiente adiabatico saturo. Nel movimento verticale di un pacchetto di aria che contiene umidità, quindi vapore acqueo, c’è comunque un raffreddamento alzandosi di quota (o riscaldamento abbassandosi), ma ha appunto un’intensità differente e non lineare come nel caso del secco. Abbiamo pertanto una variazione che cambia più o meno velocemente con il variare della quota, perché non bisogna dimenticare – come già visto nelle puntate precedenti, ndr – che l'aria fredda può contenere meno vapore acqueo rispetto all'aria più calda. Il valore stabilito è di 0,6 gradi ogni 100 metri di quota, ma è una sorta di media, in quanto con il diminuire della temperatura e l’aumento della quota il valore aumenta e si avvicina sempre più al gradiente adiabatico secco, proprio perché l’aria raffreddandosi conterrà meno umidità. Va inoltre considerato che la condensazione del vapore acqueo è un passaggio di stato che libera calore, il calore latente di condensazione, e questo effetto va a rallentare il raffreddamento del pacchetto. Per questo il valore indicato è solo quello medio”.

Un po’ di etimologia: dal favonius romano all’asciugacapelli

Come sempre, sviscerando i temi fino all’osso, non può mancare anche qualche curiosità e questa volta visti i nomi diversi affibbiati al fenomeno, ci buttiamo sull’etimologia, chiedendo una scampagnata “fuori settore” a Cecilia Moretti: “Ammetto che mi sono affidata al vocabolario… Possiamo dire che favonio deriva dal latino favonius, che significa far crescere. E pare che sia il nome con cui i romani chiamavano il vento di ponente, favonius, che deriva dal presupposto che questo vento, come dicevamo generalmente caldo, favorisce lo svilupparsi dei germogli e della vegetazione. Anche la nota derivazione tedesca föhn deriva dalla stessa radice… e quello che forse alcuni non sanno, ma che appare evidente vista la successione storica e la presenza del favonio da tempi immemori, è che è l’asciugacapelli ad aver preso il nome del vento, non certo il contrario.”.

Un’ulteriore curiosità riguarda l’utilizzo italiano dei termini: nella vicina Italia infatti, a parte tra gli appassionati di meteorologia, nel linguaggio comune viene utilizzato quasi solo il termine tedesco, scritto nella forma estesa Foehn (senza umlaut per intenderci). Favonio è invece utilizzato prevalentemente da noi, nella Svizzera italiana.

Non solo Alpi: il favonio nelle altre catene montuose

Lo abbiamo spiegato in apertura: per avere il vento di caduta che noi chiamiamo favonio sono fondamentali due elementi base: una catena montuosa e delle correnti perpendicolari che l’attraversano (con pressioni differenti tra un lato e l’altro). Partendo da questo presupposto, e spostandoci un po’ da ‘casa’, cosa si può dire sugli altri föhn sparsi nel mondo? “Ci sono diverse zone dove questi elementi sono presenti e si sviluppano quindi questi venti di caduta, che però come immaginabile prendono altri nomi. Possiamo citarne alcuni: ad esempio esiste un vento chiamato Zonda, che scende verso l'Argentina attraversando le Ande. Poi salendo di latitudine troviamo il Chinook, che dalle Montagne rocciose scende sulle grandi pianure nordamericane, ed è pure lui conosciuto come un vento ‘mangianeve’. Tornando nell’emisfero australe, anche nelle Alpi neozelandesi c’è una corrente che scende verso la città di Christchurch, chiamato semplicemente ‘The Nor’wester’, derivato dalla direzione nord-ovest che assume. O ancora, per citarne un altro non troppo distante, il Brickfielder, che scende dalla grande catena divisoria e si tuffa verso le coste del Nuovo Galles del Sud, in Australia. Infine, per citare un’esperienza vissuta in prima persona, mi ricordo di aver osservato una situazione simile nell'isola più grande delle Hawaii, dove pure sono presenti delle montagne vulcaniche molto alte e, anche in questo caso, si vede una netta distinzione tra una metà dell'isola molto più umida e l'altra metà dove l’aria secca in caduta rende tutto arido e secco”.

#lameteospiegata è una serie RSINews, in collaborazione con MeteoSvizzera, che nasce con l’intenzione di approfondire, una volta al mese, un tema meteorologico non per forza legato alla stretta attualità. La missione: renderlo accessibile e comprensibile.
Il blog completo de #lameteospiegata sul sito web di RSI è accessibile al seguente link: https://bit.ly/3JrXkXN

Ulteriori informazioni:
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https://www.meteosvizzera.admin.ch/tempo/tempo-e-clima-dalla-a-alla-z/frequenza-del-favonio.html
https://www.meteosvizzera.admin.ch/tempo/tempo-e-clima-dalla-a-alla-z/favonio/periodi-di-favonio.html