Ambito dei contenuti

L'alluvione del 1978 - Parte 2

MeteoSvizzera-Blog | 07 agosto 2024
8 Commenti

Ricorre in questi giorni l'anniversario dell'alluvione che ha toccato le regioni sud-alpine nel 1978. In questo secondo articolo ci addentriamo nelle emozioni dell'epoca e completiamo la narrazione con alcune considerazioni che sono seguite a questo evento.

  • Tempo

Piè di pagina

Navigazione top bar

Autorità federali svizzereAutorità federali svizzere

La calma dopo la tempesta. L’alba del 8 agosto portò tempo asciutto e soleggiato, ma anche la desolazione dovuta alle estese ferite inferte alla popolazione, alle infrastrutture e al territorio dalla furia degli elementi. Si inizia a rimboccarsi le maniche per reagire. Inizia la conta dei danni e – purtroppo - anche quella dei morti.

“Notte di tragedia nella regione del Locarnese”. “Sopraceneri funestato dal maltempo”. “Una notte di paura”. Con questi titoli i quotidiani descrissero l'accaduto. Lo spettacolo che si presentò all’alba dell’8 agosto, quando la pioggia era finalmente cessata, fu desolante: strade interrotte da frane, ponti spazzati via, tralicci dell’alta tensione caduti, case allagate o addirittura distrutte, impianti industriali e di produzione elettrica messi fuori uso, campeggi inondati, raccolti distrutti. Alla lunghissima lista di danni materiali si aggiungeva quella più corta ma non meno pesante della perdita, in Ticino, di sette vite umane. È praticamente impossibile riportare un elenco esaustivo dei danni provocati dall’alluvione, il cui valore fu stimato in decine di milioni di franchi svizzeri di allora.

Come descritto nel blog di ieri in poche ore un mezzo diluvio si abbatté sul Sopraceneri e le regioni circostanti. Da quando nel 1864 iniziarono le misure sistematiche fino ad allora non si era mai registrata così tanta acqua su un’estensione così vasta. L’imponente quantità di pioggia, andò inevitabilmente ad ingrossare i fiumi. Secondo una nota dell’allora Ufficio federale della gestione delle acque la portata del Ticino a Bellinzona raggiunse i 1'400 m3/s, mentre la Maggia si stima che arrivò a 4'500 m3/s. Si tratta di una stima perché la violenza delle acque distrusse anche i sistemi di misura …

Per paragone si pensi che il Reno a Basilea in media ha una portata di 1’000 m3/s. Inevitabile che con simili portate l’azione di erosione di torrenti e fiumi fu imponente: tonnellate di materiale, alberi e detriti furono portate a valle, andando a rinforzare l’azione distruttrice delle acque, già di per sé impetuose.

Ora dopo ora, si aggrava il bilancio

Le segnalazioni dei primi tragici danni, iniziarono già il mattino presto del 7 agosto, provenienti dalla Mesolcina a seguito dei locali violenti temporali del giorno precedente. E da allora per 24 ore fu un susseguirsi di notizie che delineavano una dopo l’altra il crescendo di distruzioni che stavano toccando il Sopraceneri e le vicine regioni piemontesi. Nessuna valle superiore fu risparmiata dal maltempo, praticamente tutti i fiumi si ingrossarono, strariparono e trasportarono ingente materiale alluvionale. A partire dal tardo pomeriggio e nella serata la situazione, già critica nelle ore precedenti, degenerò completamente al momento in cui le ondate di piena raggiunsero il loro massimo.  Ondate rafforzate dal cedimento di alcuni sbarramenti naturali che si erano formati a monte, grazie a tronchi, rami o alberi che avevano temporaneamente sbarrato il corso dei fiumi e dei torrenti.

Sfogliando i quotidiani di allora risalta in modo chiaro l’opera delle decine di persone che in quei concitati momenti cercarono di portare aiuto a chi, sorpreso dalle acque, si trovò in pochi minuti in situazione di pericolo. Polizia, pompieri, membri dell’esercito e – soprattutto – numerosi volontari si prodigarono per ore per mettere in salvo persone e beni materiale. Senza di loro il bilancio in vite umane sarebbe stato ben più pesante. Per i beni materiali, vista l’intensità dell’evento, ci fu invece ben poco da fare.

Le testimonianze di quei tragici momenti sono consultabili grazie agli archivi della RSI:
- Inondazioni nella Svizzera Italiana
- Alluvione 1978, Mesolcina e Leventina

L’alba del giorno dopo permise di iniziare a stilare l’elenco dei danni. E parallelamente, come di nuovo ben testimoniano gli articoli di stampa, iniziò la reazione. Di fronte ad un paesaggio desolato, e ancora stupiti per quanto accaduto, popolazione e autorità iniziarono subito i lavori volti a riportare alla normalità quella parte di cantone rimasta sconvolta. Squadre di intervento, volontari, compagnie dell’esercito giunte anche da oltre Gottardo, protezione civile e pompieri operarono quasi senza sosta. Inizialmente si trattò di ripristinare, anche in modo provvisorio, i servizi più essenziali (distribuzione corrente elettrica, erogazione acqua potabile, ripristino linee telefoniche, collegamenti stradali con le regioni isolate). Ma anche questi primi interventi d’emergenza necessitarono di diversi giorni, tale erano le distruzioni apportate dalla furia delle acque. Quelli volti ad un ripristino definitivo necessitarono, a seconda delle regioni, mesi o anni di lavoro.

La riflessione

L’alluvione del 1978 marcò in modo importante il territorio. Le foto scattate e le immagini televisive ci tramandano testimonianze inequivocabili della forza erosiva dell’acqua defluita verso valle. Difficile a memoria d’uomo risalire a un evento che colpì in modo geograficamente così esteso il versante sudalpino. Ma la memoria dell’uomo non è un metro di misura affidabile per simili eventi. Che sicuramente sono già avvenuti numerosi in passato. Come possiamo dirlo con certezza? Semplicemente guardandoci in giro. Il territorio ticinese, con la sua complessa struttura apprezzata dai turisti, nella sua continua alternanza fra valli e montagne, è stato modellato nel passato da innumerevoli eventi alluvionali. In situazioni normali, l’acqua che scorre non ha la forza sufficiente per spostare i sassi o erodere le rive. L’attuale presente è la testimonianza indelebile di ciò che capitò nel passato, migliaia e migliaia di anni fa. Un passato remoto, certo, in cui l’uso del territorio era ben diverso da quello odierno. I fondovalle, oggi, non sono più solo la sede naturale dello scorrere di un fiume, ma sono spazi in cui devono convivere, ravvicinati e a volte sovrapposti, abitazioni e complessi artigianali o industriali, strade e autostrade, collegamenti ferroviari e linee elettriche. L’ingegno e le conoscenze tecnico-scientifiche dell’uomo ci hanno permesso di colonizzare in modo intenso (anche troppo per alcuni) il territorio. L’ambiente che ci circonda e i segnali che, se vogliamo, vi possiamo leggere ci ricordano però la necessità di una convivenza sensata. Perché, nonostante le opere di prevenzione e di gestione del territorio, quando la Natura fa il suo corso, è difficile fermarla. E questo indipendentemente da tutte le discussioni sull’aumento o meno degli eventi alluvionali a seguito dei cambiamenti climatici in atto.