Macrocella, una semplice parola che nasconde un processo atmosferico complesso, molto complesso. Accompagnati dal meteorologo Luca Nisi di MeteoSvizzera cerchiamo di spiegare con semplici concetti di cosa si tratta.
Le macrocelle, cosa e quali sono
In generale, lo spostamento dell’aria tra equatore e poli è descritto dal modello a tre macrocelle. Una macrocella rappresenta i moti circolatori su larga scala, stimolati dalle differenze sia termiche che bariche, che coinvolgono tutti gli strati della troposfera. “Sono descritte tre macrocelle di circolazione per ciascun emisfero e ognuna, oltre a essere dipendenti l’una dall’altra, ha delle proprietà ben definite. Sono identificate con tre nomi, partendo dalla più vicina all’equatore: la cella di Hadley, la cella di Ferrel e la cella polare” afferma Nisi.
E in questo frangente è proprio quella di Hadley a interessarci maggiormente, perché è pure quella che ha dato la struttura al primo modello circolatorio. “Il nome risale a uno scienziato inglese, George Hadley, avvocato e meteorologo del 18° secolo. Hadley, cercando di capire la causa dei venti alisei (venti costanti che soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in prossimità dell’equatore) ideò un modello concettuale che descriveva il possibile movimento delle masse d’aria in grado di giustificare questi venti fino ad allora decisamente misteriosi. Non avendo a disposizione misure vere e proprie si affidò a un modello concettuale, che però rispettava tutti i processi fisici conosciuti all’epoca. Un modello che si basava sul semplice concetto di trasporto di calore da una superficie calda ad una più fredda, come succede con i fluidi, ma in questo caso il fluido non era l’acqua, bensì l’atmosfera. Per bilanciare il divario termico tra le diverse latitudini, l’aria equatoriale riscaldata dal suolo a sua volta surriscaldato dal sole, sale in quota per la spinta di galleggiamento fino alla tropopausa (presso l’equatore localizzata ad un’altezza maggiore rispetto alle nostre latitudini, ovvero a circa 16 km anziché 10 km). A quella quota secondo la prima teoria di Hadley, l’aria calda raggiungeva i poli per poi ridiscendere nei bassi strati dell’atmosfera e compensare così il disequilibrio termico; in seguito convergeva nuovamente verso l’equatore per chiudere il ciclo, dando luogo appunto agli alisei. Questo primo modello non era però perfetto: non teneva in considerazione la rotazione terrestre e gli alisei avrebbero pertanto dovuto soffiare a tutte le latitudini invece che solo nella fascia intertropicale.