La relazione è invece meno evidente con quanto dicevamo prima sul possibile aumento dei temporali legati al cambiamento climatico, e la spiegazione è abbastanza logica: “Il fulmine, per far partire l’incendio, deve essere piuttosto ‘secco’, nel senso che deve essere una scarica energetica che arriva a terra, ma che non sia seguita da un temporale abbondante e quindi da piogge torrenziali, altrimenti l’energia immessa nel combustibile per accendere il fuoco viene fermata dalla caduta dell'acqua”.
Un fulmine, lo abbiamo visto, è un'enorme quantità di energia concentrata in un unico punto e in un istante. Per scatenare gli incendi, più è lunga la durata del fulmine e più è alta la probabilità di innesco. “Quando parliamo di una scarica lunga ci riferiamo comunque a microsecondi, però ci sono diverse durate di queste scariche e tendenzialmente sono quelle più lunghe che riescono ad accendere il fuoco” spiega Conedera.